Dialetto Modenese – Il detto “Tèimp dal docca Pasarèin”2 min read

Modi di dire, usanze popolari e frasi divenute celebri nel tempo. Tutto questo nella rubrica a cura di Gianluca Bellentani e Modena&Dintorni. 

Oggi scopriamo il modo d’uso del termine “Tèimp dal docca Pasarèin” (Tempo del Duca Passerino).

Duca
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Tèimp dal docca Pasarèin (Tempo del Duca Passerino) Quando un vero modenese parla di un fatto avvenuto molto tempo addietro o di qualcosa di antico, aggiunge la frase

‘’Tèimp dal docca Pasarèin‘’ ( Tempo del Duca Passerino ).

La figura di Rinaldo Bonacolsi detto Passerino, evoca nei modenesi un passato lontano di guerre e crudeltà. Passerino fu Signore di Mantova e anche di Modena dal 1312 al 1327. Sotto il suo dominio, venne completata la cuspide della Ghirlandina e furono rinforzate le mura della città. Era un Ghibellino, fedele all’ Imperatore e avverso al Papa. Sfidò 2 Pontefici, Clemente V e Giovanni XXII ma soprattutto uccise nelle campagne di Spilamberto, in località S. Eusebio, Raimondo da Spello, nipote di Papa Clemente ( e questo costò alla città di Modena l’interdetto papale ).

Sconfisse i bolognesi nella famosa battaglia di Zappolino, ma poi i Ghibellini si divisero al loro interno e il Bonacolsi fu costretto a firmare una pace separata coi guelfi bolognesi.

Modena perse diversi castelli sul confine e i modenesi infuriati lo cacciarono. Anche a Mantova le cose volsero al peggio quando Luigi Gonzaga, appoggiato dai Della Scala di Verona, prese il potere della città.

Passerino morì poco tempo dopo ma anche da morto non riuscì a trovar pace. Il suo corpo fu mummificato e le sue spoglie conservate come una sorta di amuleto nella collezione privata dei Gonzaga per secoli, sino a che la Duchessa Susanna Enrichetta di Lorena, non si sbarazzò di quella mummia che le procurava orrore e fastidio al solo vederla e fece gettare il corpo di Passerino nel lago.

La leggenda vuole che una sensitiva, avesse predetto che nel caso il corpo di Passerino non fosse stato più visibile, il regno dei Gonzaga sarebbe terminato, come poi avvenne pochi anni dopo, nel 1707.

Anche il figlio di Passerino, Francesco e i nipoti, subirono un’orrenda sorte. Furono rinchiusi in una torre del Castello di Castel d’ Ario, vicino a Mantova e lasciati morire di fame all’interno di una delle torri, che da quel momento prese il nome di Torre della Fame.

 

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La rubrica dialettale di Gianluca Bellentani, torna giovedi prossimo, mi raccomando… non mancate!

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