Dorando Pietri – il maratoneta (sconfitto) più famoso del novecento5 min read

Nella storia delle Olimpiadi c’è un atleta la cui memoria ha resistito ai decenni nonostante quell’atleta, la sua gara, non l’abbia mai vinta. Il giorno in cui entrò nella Storia fu il 23 luglio del 1908, il luogo Londra, la specialità che non vinse mai la Maratona e il suo nome, ormai leggendario, Dorando Pietri.

 

Dorando Pietri
Dorando Pietri

Nato a Mandrio, una frazione di Correggio, in una famiglia di contadini. Nel 1897 il padre Desiderio lasciò i campi per aprire un negozio di frutta e verdura nella vicina Carpi, dove si trasferì con la moglie e i quattro figli. Dorando iniziò molto presto a lavorare, come garzone in una pasticceria. Nel tempo libero si dedicava alla bicicletta o alla corsa a piedi. Era un uomo minuto e di bassa statura (1,60 m).

La prima “gara”

Nel settembre del 1904 il più famoso podista italiano dell’epoca, Pericle Pagliani, partecipò ad una gara proprio a Carpi. Si racconta che Pietri, attirato dall’evento, si sia messo a correre dietro Pagliani, con ancora gli abiti da lavoro addosso, ed abbia retto il suo passo fino all’arrivo. Qualche giorno dopo, Pietri fece l’esordio in una competizione ufficiale, correndo i 3000 metri a Bologna ed arrivando secondo.
L’anno successivo arrivarono i primi successi, sia in Italia che all’estero, il più importante dei quali fu la 30 km di Parigi, vinta con un distacco di 6 minuti. Il 2 aprile 1906 Pietri vinse la maratona di qualificazione per i Giochi olimpici intermedi, che si sarebbero svolti in estate ad Atene, con il tempo di 2 ore e 48 minuti. Purtroppo nella gara di Atene fu costretto a ritirarsi al 24º chilometro per problemi intestinali, quando era al comando con 5 minuti di vantaggio sugli inseguitori.

La maratone di Londra 

Dorando Pietri
Maratona di Londra

Il 1908 era l’anno delle Olimpiadi di Londra. Dorando Pietri si era preparato per mesi all’evento. Il 7 luglio si guadagnò il posto nella squadra italiana in una maratona di 40 km disputata a Carpi. Vinse in 2 ore e 38 minuti, una prestazione mai ottenuta prima in Italia.
La maratona olimpica era in programma pochi giorni dopo, il 24 luglio. Per la prima volta il percorso si snodava su 42,195 km.

Alla partenza, davanti al Castello di Windsor, c’erano 56 atleti, tra cui i due italiani: Dorando Pietri, maglietta bianca e calzoncini rossi, con il numero 19 sul petto, e Umberto Blasi. Era una giornata insolitamente calda per il clima inglese.
Alle 14:33 la principessa del Galles diede il via.

Un terzetto di britannici si portò subito al comando della corsa, imponendo un’andatura elevata. Pietri si mantenne nelle retrovie, cercando di conservare le energie per la seconda parte di gara. Infatti verso metà percorso il maratoneta italiano iniziò la sua progressione, rimontando via via numerose posizioni. Al 32º km era secondo, a quattro minuti dal leader della corsa, il sudafricano Charles Hefferon. Saputo che l’atleta di testa era entrato in crisi, Pietri aumentò ancora il ritmo per recuperare il distacco, e al 39º km raggiunse e subito sorpassò il sudafricano.
Mancavano ormai un paio di chilometri all’arrivo, ma Pietri si trovò a fare i conti con l’enorme dispendio di energie effettuato durante la rimonta e la disidratazione dovuta al caldo. La stanchezza gli fece perdere lucidità. Arrivato allo stadio, sbagliò strada. I giudici lo fecero tornare indietro, ma Pietri cadde esanime. Si rialzò con il loro aiuto, ma ormai stremato, faticava a reggersi in piedi da solo.

Era ad appena 200 metri dal traguardo. Gli oltre 75.000 spettatori dello stadio erano tutti in trepidazione per lui. Attorno a lui sulla pista i giudici di gara e persino alcuni medici accorsi per soccorrerlo. Pietri cadde altre quattro volte, ed altrettante fu aiutato a rialzarsi, ma continuò barcollando ad avanzare verso l’arrivo. Quando finalmente riuscì a tagliare il traguardo, sorretto da un giudice e un medico, era totalmente esausto.
Il suo tempo finale fu di 2h54’46″4 su 42,195 km, ma solo per percorrere gli ultimi 500 metri impiegò quasi dieci minuti. Oltre il traguardo svenne e fu portato fuori dalla pista su una barella. Poco dopo di lui arrivò lo statunitense Johnny Hayes. La squadra americana presentò immediatamente un reclamo per l’aiuto ricevuto da Pietri, che venne prontamente accolto. Il carpigiano fu squalificato e cancellato dall’ordine di arrivo della gara.

“Famoso per non aver vinto”

Dorando Pietri
Statua di Dorando Piatri a Carpi

Il dramma di Dorando Pietri commosse tutti gli spettatori dello stadio. Quasi a compensarlo della mancata medaglia olimpica, la regina Alessandra lo premiò con una coppa d’argento dorato. A proporre l’assegnazione del riconoscimento sarebbe stato lo scrittore Arthur Conan Doyle che secondo alcuni era anche l’addetto con il megafono che sorresse Pietri al momento dell’arrivo. Tale affermazione non ha però alcun fondamento: i due personaggi che affiancano Pietri, in quella che è una delle più note e significative immagini dell’olimpismo moderno, sono, rispettivamente, alla destra dell’atleta – con il megafono – il giudice di gara Jack Andrew ed alla sinistra il capo dello staff medico, il dottor Michael Bulger. Conan Doyle era in effetti presente in tribuna, a pochi metri dalla linea del traguardo, dato che era stato incaricato da Lord Northcliffe di redigere la cronaca della gara per il Daily Mail; il resoconto del giornalista-scrittore terminò con le parole:

« La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici. »

Successivamente Conan Doyle suggerì al Daily Mail di conferire un premio in danaro a Pietri, sotto forma di sottoscrizione per permettergli l’apertura di una panetteria, una volta rientrato in Italia. La proposta ebbe successo e vennero raccolte trecento sterline. Lo stesso Doyle avviò la raccolta donando cinque sterline.

Il racconto della sua impresa eroica, ma sfortunata, fece immediatamente il giro del mondo. Da un giorno all’altro Dorando Pietri divenne una celebrità, in Italia e all’estero. Le sue gesta colpirono la fantasia del compositore Irving Berlin, che gli dedicò addirittura una canzone intitolata Dorando.

Paradossalmente, la mancata vittoria olimpica fu la chiave del suo successo. Sull’onda della sua fama ricevette presto un lauto ingaggio per una serie di gare-esibizione negli Stati Uniti.

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